
La ricercatrice avanzava domanda per ottenere l’abilitazione alla funzione di professore universitario di seconda fascia per il settore concorsuale 10/N1. I commissari, riconoscendo la diversità del campo di indagine della candidata, chiedevano un parere pro veritate ad un’esperta della materia, il cui parere veniva immotivatamente disatteso.
L’art. 5 comma 4, del D.D. n. 553/2021 prevede espressamente che “La Commissione, nello svolgimento dei lavori, può avvalersi della facoltà di acquisire pareri scritti pro veritate da parte di esperti revisori ai sensi dell’articolo 16, comma 3, lettera i), della legge n. 240 del 2010. La facoltà è esercitata, su proposta di uno o più commissari, a maggioranza assoluta dei componenti della Commissione. Il parere è obbligatorio nel caso in cui si proceda alla valutazione di candidati afferenti ad un settore scientifico-disciplinare che, pur appartenendo al settore concorsuale oggetto della domanda, non è rappresentato nella Commissione. Anche per gli esperti revisori si applica quanto previsto dal comma 2, ultimo periodo.”; il successivo punto 5 del comma 5 del D.D. n. 553/2021 stabilisce, tra l’altro, che “L’eventuale dissenso dal parere pro veritate di cui al comma 4 è adeguatamente motivato.”.
Orbene, nel caso di specie, la Commissione chiedeva il parere pro veritate, non possedendo le competenze relative al settore scientifico di appartenenza della parte ricorrente in ossequio all’art. 5, comma 4, del D.D. n. 553/2021 e, tuttavia, lo stesso non è stato in alcun modo valutato dalla Commissione, essendosi quest’ultima limitata ad esprimere il giudizio negativo senza ulteriori specificazioni.
La ricercatrice impugnava così il giudizio di “non abilitazione” innanzi il TAR Lazio rilevando in primis, la violazione del D.R. 553 del 26 febbraio 2022 ed in particolare dell’art. 5 punto 5; la violazione dell’art. 16 L. 240/2010; la violazione del DPR 95/2016 e del D.M. 120/2916; la contraddittorietà tra atti della pubblica amministrazione; l’eccesso di potere per contraddittorietà, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta; la violazione del principio dell’imparzialità e di non discriminazione nonché il difetto di motivazione.
Il TAR Lazio rilevava: “Nel parere pro veritate, (…) è infatti dato leggere che “comparando le sue conoscenze con quelle degli attuali docenti di II fascia di Storia del Vicino Oriente antico nelle università italiane, (…) è, a mio parere, pienamente meritevole dell’abilitazione alla II fascia”, mentre nel giudizio impugnato è dato leggere solamente che “il profilo scientifico, per quanto apprezzabile dal punto di vista dell’approccio metodologico e del rigore filologico nella trattazione di alcuni temi in particolare, come la lingua ittita e il luvio geroglifico, appare tuttavia poco strutturato e quantitativamente esiguo, così da non giustificare l’attribuzione dell’abilitazione alla Seconda Fascia nel SSD L-OR/01, SC 10/N1. La candidata si dichiara pertanto non idonea”, senza che la Commissione abbia spiegato le ragioni per cui si è ritenuto di superare il parere (positivo) pro veritate redatto.
Tale difetto di motivazione non può neanche essere “recuperato” nei giudizi individuali che si presentano parimenti lacunosi sotto tale profilo.
A tal proposto, questo Collegio intende ribadire il costante orientamento di questo T.A.R. secondo cui, qualora la Commissione decida di richiedere ad un esperto revisore un parere pro veritate - sia nell’ipotesi di autonoma scelta discrezionale, sia nel caso in cui ciò sia obbligatorio per l’assenza nella medesima Commissione di professori esperti nel settore scientifico di riferimento del candidato - lo stesso deve essere tenuto in considerazione al momento della formulazione del giudizio finale; ciò non vuol dire che i singoli Commissari debbano acriticamente recepire le conclusioni a cui è pervenuto l’esperto, ma soltanto che la valutazione debba necessariamente ponderare (anche) tale elemento, magari discostandosene ma sempre con adeguata e puntuale motivazione.
Ebbene, è evidente come, nel caso di specie, ciò non sia avvenuto, avendo la Commissione apoditticamente negato l’abilitazione senza alcun riferimento al parere pro veritate di che trattasi.
Peraltro, a fronte di tali doglianze l’Amministrazione intimata, pur costituitasi in giudizio, nulla ha eccepito a riguardo, potendo, pertanto, essere applicato il principio di non contestazione ai sensi dell’art. 115 c.p.c.”.
Per tali motivazioni veniva accolto il primo motivo di gravame (ritenuti gli altri motivi di ricorsi assorbiti) e conseguentemente il Collegio statuiva la nullità del giudizio inerente la valutazione delle pubblicazioni scientifiche richiedendo al Ministero una nuova valutazione nel rispetto dei principi di diritto sopra menzionati.